Birra Peroni

Carosello Birra Peroni - Chiamami Peroni sarò la tua Birra




Birra Peroni: la storia


Il Gruppo Peroni, 160 anni e più di storia, in mano straniera dal 2003 (è nella scuderia della sudafricana SAB Miller) è, come si usa dire oggi con termini “moderni”, uno dei player principali nel settore dell’industria birraria italiana: 750 dipendenti, tre stabilimenti produttivi (Roma, Padova e Bari), la malteria Saplo, una produzione annua di birra che ammonta a 3,250 milioni di ettolitri (fonte Assobirra, dati riferiti al 2010).



Solvi Stubing (nella pubblicità a lato), Anita Ekberg, Fred Buscaglione, Mina e Ugo Tognazzi, Renzo Arbore, Milly Carlucci, Filippa Lagerback,Adriana Sklenarikova, Camilla Vest; per non parlare del ciociaretto firmato da Romolo Tessari nel 1910, sono soltanto alcuni dei rinomati testimonial pubblicitari di una birra e un birrificio che hanno fatto la storia. 

Una storia che attraversa trasversalmente le vicende dell’Italia fin dal 1846, anno della sua apertura, quando Giovanni Peroni trasferisce la propria attività a Vigevano, dove comincia a lavorare come bottigliere (la famiglia di origine era invece di pastai). Ben presto vi apre una piccola attività di produzione di birra, che poi veniva venduta in un locale che lo stesso Peroni aprì accanto alla fabbrica, un vero e proprio brewpub ante-litteram (la stessa cosa farà poi anche a Roma, quando vi si trasferirà).


Le cose funzionavano, ma Peroni intuisce che la propria attività avrebbe riscosso un maggior successo in un posto diverso, visto il ristretto mercato vigevanese. Il consumo di birra nel centro sud dell’Italia era in quel periodo molto più diffuso che al nord, e quindi Giovanni decide di fare il grande salto e trasferisce la propria attività a Roma, prima vicino a Piazza di Spagna (1864), poi nel Borgo santo Spirito (1872, con la mescita che si effettuava nella elegante zona di via dei Due Macelli) e, infine, in zona Colosseo (1890), dove, accanto alla fabbrica, apre un “pub” con 19 tavoli. E’ il momento della “stabilità” delle scelte: la famiglia Peroni sceglie definitivamente Roma, e Roma sceglie la birra Peroni, che comincia a mietere riconoscimenti: si può fregiare dello stemma reale in quanto fornitrice ufficiale della Casa Reale e arriva, nel 1886, la menzione onorevole alla Esposizione nazionale dei prodotti nazionali.


La grande svolta produttiva si ha nel 1905, quando i fratelli Peroni portarono in Italia, dopo averla studiata in Germania, la bassa fermentazione: convinti che il proprio futuro birrario avrebbe dovuto puntare su quel tipo di produzione, in quell’anno i Peroni fecero la fusione con la più grande fabbrica di ghiaccio di Roma. La nuova associazione si chiamò Le Società Riunite Fabbrica di Ghiaccio e Ditta F. Peroni, la cui nuova sede si trovava nei pressi di Porta Pia: 300 operai e una squadra di “carri giro” trainati da cavalli che portava la birra in tutta Roma. Come per tutte le attività economiche europee “storiche”, il periodo fra le due guerre è stato quello più complicato, e la Peroni, in questo, non fa eccezione. Ma dalle difficoltà la Peroni cerca di risollevarsi in vari modi: fantasia produttiva (nasce in quegli anni il Peroncino, a lato la prima bottiglia), grandi investimenti pubblicitari che lasciano il segno sull’immaginario collettivo Il ciociaretto ricordato in precedenza), tecnologizzazione degli impianti, acquisizione di fasce di mercato attraverso l’acquisto di birrifici “minori” e/o locali. Dal 1926 al 1938 Peroni, infatti, acquisisce e ingloba la fabbrica Birra Perugia, le Birrerie Meridionali di Napoli (che dal 1930 si chiameranno Birra Peroni Meridionale), Birra d’Abruzzo di Castel di Sangro, la Birra Partenope (che Peroni acquista ad un’asta fallimentare) e la Birra Livorno.

Finita la Seconda Guerra, riassestati i danni che l’apparato produttivo aveva subito, una vasta riorganizzazione della filiera distributiva risolleva le sorti della Peroni, ristrutturazione elaborata da Franco Peroni, dopo un suo viaggio negli States, dove capì l’importanza della razionalizzazione logistica e della organizzazione delle unità produttive. Lo stesso Franco Peroni scommette su una pronta ripresa dell’Italia e fa costruire a Napoli il birrificio più moderno dell’epoca, inaugurato nel 1953, al quale seguono altri tre stabilimenti: Bari (1963), Roma (1971) e Padova (1973). Prosegue anche la politica delle acquisizioni: alla fine degli anni ‘50 è la volta della Dormisch di Udine e della Faramia di Savigliano, nel 1960/61 tocca alla Pilsen di Padova e alla Raffo di Taranto, nel 1970 tocca alla Itala Pilsen del Gruppo Lucani. La politica delle acquisizioni terminerà nel 1983, con l’acquisizione della Whurer di Brescia (allora controllata dalla Gervais Danone).




Nel 1963 nasce il marchio Nastro Azzurro legato per sempre nell’immaginario collettivo allo slogan ”chiamami Peroni sarò la tua birra” con il quale verrà promozionata e alla figura della bionda Solvi Stubing, sua “madrina” pubblicitaria. E’ la birra che fa conoscere il Gruppo Peroni all’estero, dove ancora oggi è la birra italiana più venduta. E gli anni ‘70-’80 sono gli anni della espansione del birrificio italiano sui mercati esteri, attraverso la diversificazione dei propri prodotti e l’avvio di collaborazioni con aziende internazionali. Dal 1983 si comincia ad esportare in America, e contemporaneamente si procede ad una ulteriore razionalizzazione degli impianti e della filiera produttiva. Nel 1984 chiude il deposito (ex stabilimento) di Livorno, e la fabbrica di Savigliano (ex Faramia). Nel 1985 chiude lo stabilimento di Taranto e nel 1988 quello di Udine, nel 1989 alla quello della Wuhrer di Brescia e nel 1993 quello di S. Cipriano Po (ex birra L.E.O.N.E.). La produzione è così concentrata sugli stabilimenti di: Roma Napoli, Bari e Padova (ex Itala Pilsen).

E arriva,infine, il tempo delle multinazionali nel campo della produzione birraria, anche e soprattutto in Italia; dopo aver tentato di “limitare i danni” con un accordo commerciale/produttivo con la Heineken che aveva cominciato a mettere gli occhi sul Gruppo Peroni (detentore, negli anni ’80 del 40% del mercato birrario italiano), quella stessa Heineken che nel 1998 acquisirà la Birra Moretti, anche la famiglia Peroni è infine costretta a capitolare. Nel 2003 Isabella Peroni, figlia di Giacomo e ultima proprietaria della azienda vende la maggioranza delle azioni alla multinazionale sudafricana SABMiller. E’ la fine di una storia tutta italiana di fare birra, ma non la fine di un modo italiano di fare birra, industriale ma con un occhio attento alla qualità. Il “garante” di ciò è Ezio Messina, direttore del laboratorio centrale della Peroni a Roma, che controlla l’intera filiera produttiva delle materie prime, fra le quali il Nostrano Peroni, un tipo di mais autoctono (racconta la Guida alle Birre d’Italia edito da Slowfood), non ogm, selezionato in collaborazione con L’Istituto Cerearicolo e il Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione Agricola di Bergamo e coltivato in cinque regioni italiane da un network di aziende agricole.

di Alberto Laschi



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